Categoria: ELISBOTH
Cristiani
Lapidi Paleocristiane, Santa Maria in Trastevere, Roma
ANTIOCHIA
Su un fianco del monte Stauris, vicino alla città di Antiochia, si trova una chiesa rupestre detta “Grotta di San Pietro”. Nicchie e fori coprono la roccia: il luogo, testimone di un’antichissima religiosità pagana, fu utilizzato dai primi cristiani per i loro incontri e celebrazioni. È da presumere che l’uso vero e proprio della grotta come luogo di ritrovo dei cristiani sia iniziato nel IV secolo. La tradizione racconta che qui sia avvenuto il passaggio del principe degli apostoli. È stato immaginato nel romanzo “Elisboth” che questo sia stato il luogo dove Babila ha celebrato la Pasqua del 244 quando incontrò e scomunicò Filippo. Tracce di pitture rimangono sulle pareti. La facciata accenna gli archi e i motivi circolari che indiscutibilmente richiamano le future forme geometriche del romanico.
Per maggiori informazioni e per immagini della grotta potete a esempio visitare
http://www.anadolukatolikkilisesi.org/antakya/it/grotta.asp
ORIGENE
Origene è stato uno dei più grandi teologi dell’antichità: in poche parole non è certo possibile fare sintesi del suo pensiero o della sua vita e non potrò che darvi qualche informazione. Per saperne di più vi rimando in primo luogo alle omelie di papa Benedetto XVI a lui dedicate, dove il pontefice spiega come Origene sia una personalità determinante nel pensiero cristiano, fondando la teologia nella spiegazione delle scritture .
https://magisterobenedettoxvi.blogspot.com/2007/04/origine-ed-la-triplice-lettura-delle.html
Ermanno Ferretti “Il pensiero di Origene”, https://www.youtube.com/watch?v=AxA5odVr8WQ
Origene nacque ad Alessandria primo di sette fratelli, in una famiglia cristiana. Il padre morì martire nella persecuzione di Settimio Severo, quando Origene aveva circa diciotto anni. Per sostenere se e la sua famiglia si dedicò completamente all’insegnamento. Oltre a insegnare la grammatica, profondo esperto di teologia e filosofia organizzò una scuola teologica su incarico del vescovo di Alessandria, il Didaskaleion. Si recò in Arabia, poi visse a lungo a Cesarea in Palestina dove tra il 229 e il 254 fu ordinato presbitero dal Vescovo Teoctisto. Là fondò una scuola e una biblioteca – la più ricca biblioteca di tutta l’antichità cristiana – insieme al suo amico Teoctisto. Morì nel 254 dopo aver subito la persecuzione di Decio nel 250.
Immensa la sua opera e il suo influsso sulla teologia e la religione cristiana. Sue opere fondamentali furono il Commento al Vangelo di Giovanni, il Commento ai Salmi, il Commento alla Genesi, il Commento al Vangelo di Matteo e Contro Celso. L’ultima opera, scritta mentre Filippo era imperatore, è una viva testimonianza della libertà di pensiero del tempo: Origene risponde alle contestazioni di un filosofo pagano al cristianesimo, punto per punto, ed è quindi testimonianza del vivace libero dibattito tra le varie religioni esistente a quel tempo.
PRIMI CRISTIANI A ROMA.
Nel romanzo Elisboth la scena della riunione dei cristiani a Roma è collocata in un ambiente chiamato “Schola”, prossimo a una catacomba. Cos’era? Lo spiega Rodolfo Lanciani nel 1892 nel terzo capitolo di “Roma pagana e cristiana”.
- Rodolfo Lanciani, Pagan and Christian Rome, Boston, New York, Houghton, Mifflin and Co., 1892; Newton & Compton, Roma 2004
L’originale in lingua inglese è trascritto in:
- https://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Gazetteer/Places/Europe/Italy/Lazio/Roma/Rome/_Texts/Lanciani/LANPAC/home.html
- https://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Gazetteer/Places/Europe/Italy/Lazio/Roma/Rome/_Texts/Lanciani/LANPAC/3*.html#sec7
Nella Roma imperiale le associazioni di vario tipo, qualsiasi finalità avessero anche sportiva o di carità, erano soggette a leggi molto severe onde evitare che degenerassero in sette politiche. Diversi e più liberi regolamenti erano destinati ai collegia funeraticia, che si proponevano di garantire funerali dignitosi ai loro membri: tutti pagavano una quota che andava in una cassa comune, utilizzata sia per le esequie, sia per le feste che venivano svolte annualmente nelle ricorrenze dei defunti stessi. Così iniziarono a costruire degli edifici per svolgere queste riunioni, che appunto si chiamavano scholae.
Anche i cristiani si associarono in collegia e utilizzavano gli edifici per i loro incontri e le agapai o feste dell’amore. Quindi in questo modo, utilizzando le consuetudini stabilite per tutti, i cristiani riuscivano a riunirsi e a superare i difficili periodi del secondo e terzo secolo. Questa usanza chiarisce anche il dubbio di come facessero i cristiani a riunirsi nelle catacombe, ambienti stretti e oscuri oltre che pieni di morti: semplicemente non si riunivano nella catacomba, ma in edifici ad essa prossimi, destinati appunto alle riunioni.
Il Lanciani tra gli esempi di scholae presenta quella in prossimità delle catacombe di San Callisto, quadrata con absidi su tre lati e aperta sul quarto; fu probabilmente edificata da papa Fabiano che aprì multas fabricas per caemeteria, e per questo motivo la scena dell’incontro tra Kyros e Filippo è qui ubicata. La chiesa fu quasi rasa al suolo nel 258 durante le persecuzioni di Valeriano, quando una squadra di uomini aggredì e uccise papa Sisto II e i suoi diaconi. Successivamente fu restaurata da Costantino, che aggiunse anche la copertura a volta e una facciata.
Nel tempo, con la crescita dei membri delle comunità, l’edificio delle scolae diventò un “presbiterium” destinato a vescovi e clero; il popolo rimaneva fuori, o sotto un tetto poggiato su travi verticali. Come ben comprenderete, progressivamente si creano gli elementi della basilica cristiana.
Rodolfo Lanciani fu grande studioso e archeologo tra 1800 e 1900. Segretario della commissione archeologica comunale dei Roma dal 1872, svolse importantissimi scavi nella Roma antica e pubblicò “Forma Urbis” una mappa in 46 tavole della Roma antica. Tra le sue importanti pubblicazioni “Storia degli scavi di Roma”, quattro volumi pubblicati tra il 1902 e il 1912 e “Pagan and Christian Rome” pubblicata nel 1892 negli Stati Uniti e, a quanto mi risulta, tradotta solo nel 2004 in Italiano da Newton Compton.
FILIPPO L’ARABO
Filippo è stato o meno veramente cristiano? Da vari autori questo fatto viene messo in dubbio, per motivi legati, ad esempio, dal fatto che lui abbia accettato la carica religiosa pagana di pontefice massimo, legata alla nomina imperiale. Ma, di fatto, vari sono gli elementi degli antichi storici e della tradizione che confermerebbero la sua adesione alla fede cristiana. Paolo Orosio nel V secolo è molto esplicito, “Questi fu il primaio imperadore cristiano” afferma nel capitolo XXI del VII libro delle “Storie contra i pagani”, e anche secondo Eusebio (Istoria Ecclesiastica) Filippo era cristiano. C’è la complessa storia della sua scomunica ad Antiochia da parte di San Babila, e della sua riammissione alla fede da parte del papa San Fabiano a Roma. E l’odio verso i cristiani che si scatenò successivamente con l’avvento di Decio indirettamente conferma tale ipotesi storica. Resta il fatto che gli storici contemporanei mostrano generalmente dei dubbi sulla fede cristiana di Filippo, benché ne evidenzino in ogni caso il suo atteggiamento aperto a tutte le religioni.
Roma, marzo 2015. Appena arrivato nella capitale metro e autobus mi portano fino alla Via Appia Antica, alla basilica di San Sebastiano. La chiesa attuale, rimodellata nel 1608 dal cardinale Scipione Borghese, è soltanto una parte della grandissima basilica della “memoria apostolorum” eretta inizialmente in onore degli Apostoli Pietro e Paolo, e successivamente dedicata a S. Sebastiano. Accanto alla basilica si entra nelle catacombe, luogo di ritrovo dei primi cristiani, che ovviamente visito: per alcuni anni hanno anche ospitato le tombe dei Santi Pietro e Paolo, come testimoniano iscrizioni e aree di culto ritrovate all’interno delle grotte.
Entro nella basilica, cerco e trovo facilmente la cappella Albani dedicata a S. Sebastiano; qui ci sono le memorie di S. Fabiano, tra cui un quadro in cui papa Fabiano benedice l’imperatore Filippo. Ma pesanti sbarre impediscono l’ingresso della cappella. Ma poi la fortuna mi aiuta. Arriva un folto gruppo di pellegrini, il luogo è indiscutibile meta per chi vuole pregare nei luoghi dei primi cristiani. Arriva un frate e apre la cappella, nella quale il gruppo si ferma per una meditazione e per raccogliersi prima della visita alle catacombe. Entro anch’io, e varie persone mi guardano stupite mentre posso finalmente guardare da vicino i quadri seicenteschi approfittando dei minuti necessari perché il gruppo si sistemi nella cappella prima dell’inizio della celebrazione. Mentre finisco di visitare la chiesa ascolto anch’io alcuni spunti della meditazione: si parla della difficile situazione dei cristiani nelle terre arabe, del confronto tra cristiani e islam. Non ho idea se i presenti hanno coscienza delle storie rappresentate sulle pareti: da un lato la scena della discesa dello Spirito Santo sul laico agricoltore futuro papa. Dall’altro l’imperatore romano di origine araba che, dopo lunga penitenza, viene comunicato da Fabiano.
IMMAGINI CRISTIANE
Esistono varie tradizioni di immagini di Maria che attribuite a San Luca Evangelista: esempi sono la Vergine dell’Impruneta, la Madonna di San Luca a Bologna, la Nostra Signora del Rosario a Monte Mario.
Luca conobbe personalmente Maria, e non possiamo escludere che possa essere stato un pittore oltre oltre che medico ed evangelista. Possiamo farci un’idea di come poteva essere un ritratto di quei tempi guardando la collezione di ritratti del Fayyum, una sterminata collezione di stupendi e moderni ritratti su legno trovata in Egitto, che rappresentavano realisticamente il volto di chi da morto era stato mummificato risalenti a un periodo compreso tra il I e il IV secolo.
Non sappiamo se i ritratti oggi venerati siano originali o copie successive. Di fatto confrontarne un’immagine del Fayyum con una delle più antiche immagini di Maria presenti in Italia, la Nostra Signora del Rosario a Monte Mario è stupefacente. L’icona della Madonna romana è di origine siriana, dei primi secoli dell’era cristiana, e la tradizione ne fa autore san Luca: metterla accanto a un ritratto di un ragazzo del Fayyum ci proietta con immediatezza in quel tempo, dando realtà e fisicità alle due figure.
L’icona di Monte Mario è disponibile su
https://iconaimmaginedio.blogspot.com/2013/05/licona-del-monasterium-tempuli.html
ritratti del Fayyum
Mitraismo
La Tauroctonia di Cavriglia.
La tauroctonia mitraica di Cavriglia. La foto è stata eseguita da Gabriele Antonacci, in occasione dell’esposizione presso il MINE nel 2017. E’ pubblicata a seguito di nulla osta del Museo Archeologico Nazionale di Arezzo, dove è attualmente collocata. E’ vietato qualsiasi uso della foto senza l’autorizzazione del Museo.
La notizia mi arriva dai social. Sabato 27 maggio 2017 si inaugura a Castelnuovo dei Sabbioni, frazione di Cavriglia in provincia di Arezzo, una mostra dedicata alla statua di Mithra là ritrovata e conservata al Museo Archeologico di Arezzo. Il sabato in questione mi alzo per tempo, faccio alcune piccole commissioni, poi prima delle dieci sono in autostrada. La giornata è stupenda e non c’è traffico: esco a Incisa, e il navigatore sul mio smartphone mi aiuta a superare rapidamente Figline conducendomi con precisione a destinazione. Sono nel Valdarno, nella zona prossima ai Monti del Chianti. Passo accanto alla centrale elettrica di Cavriglia, che domina la zona con le sue alte torri di raffreddamento; il luogo è famoso per le miniere di lignite, ormai chiuse, ora oggetto di un grande progetto di riqualificazione ambientale. Non è passata un’ora dalla mia partenza da casa che arrivo a Castelnuovo dei Sabbioni: la mostra è ospitata in MINE, museo delle miniere del territorio di Cavriglia. La struttura è nel punto più alto del vecchio borgo di Castelnuovo, centro che fu abbandonato durante lo scavo a cielo aperto dei grandi escavatori, che aveva compromesso la stabilità del paese obbligando gli abitanti a spostarsi.
Il borgo è disposto intorno ad un rilievo, sul quale fu costruita la chiesa di San Donato ora sconsacrata e parte del museo. Fermo l’auto nei parcheggi in basso, intorno a me sono fermi alcuni scuolabus che hanno portato numerosi ragazzi delle scuole di Cavriglia all’inaugurazione. La terrazza si apre su un grande panorama, sotto si distendono un lago e la centrale; fanno da sfondo, sull’altro versante del Valdarno, i verdi monti del Pratomagno. Con rapidità percorro a piedi i due tornanti che mi separano dalla piazzetta in cima alla salita, che si sta riempiendo di persone. Intorno a me i resti spettrali dell’antico paese, case abbandonate e diroccate ricoperte di rampicanti.
L’attesa è breve, arriva il Sindaco con la fascia tricolore che saluta moltissimi presenti, il nastro viene tagliato, entriamo nello spazio espositivo creato nell’antica chiesa. La statua attrae magneticamente lo sguardo di tutti. È un’opera in marmo indiscutibilmente importante, rappresenta la classica tauroctonia mitraica: non è completa, manca il corpo del Mithra e la testa del toro, eliminati da ignoti distruttori. Quello che rimane, il corpo del toro, il serpente, lo scorpione che attacca i testicoli del toro, le gambe inclinate della divinità sono caratterizzate da forme morbide e levigate. La sala di esposizione, realizzata all’interno della ex chiesa di San Donato, è una delle migliori realizzazioni espositive che ho visto: sufficientemente vasta, ha lungo le pareti una serie di chiari cartelloni che consentono di comprendere la storia del mitraismo, dei ritrovamenti a Cavriglia, e della statua del Mithra che campeggia al centro senza separazioni verso i visitatori. Nella sala c’è anche un’interessante esposizione di disegni, mappe, fotografie, attrezzature delle attività archeologiche svolte a Cavriglia e di Alvaro Tracchi, di cui tra poco vi dirò.
Inizia la presentazione e molte sono le persone che con entusiasmo si alternano al microfono: tra loro il Sindaco e il Vicesindaco di Cavriglia, le Funzionarie della Soprintendenza, le Curatrici della mostra e soprattutto i due uomini che, da ragazzi, scoprirono la statua. Sono i protagonisti di una grande e corale storia di passione archeologica che dopo anni di attesa finalmente si concretizza nella sua manifestazione pubblica.
Il borgo di Castelnuovo dei Sabbioni, frazione di Cavriglia. Si vede, accanto alla chiesa, la struttura del Museo MINE
La vicenda inizia a cavallo tra il 1700 e il 1800, quando Giacomo Sacchetti – appassionato di storia e antichità – diviene canonico della pieve di S. Giovanni Battista a Cavriglia. Intorno alla Pieve trova numerosi resti, monete, frammenti di mosaici e quant’altro. Nei suoi scritti registra che nelle fondamenta della chiesa era stata trovata un’ara portatile: questo ritrovamento è il punto di partenza delle attività di ricerca che si svolgeranno un secolo e mezzo più tardi, negli anni sessanta del ventesimo secolo, da Alvaro Tracchi.
Tracchi è cittadino di San Giovanni Valdarno, appassionato di storia, nel suo tempo libero si dedica agli studi sull’antico territorio del Valdarno, con lo spirito del pioniere, utilizzando metodi innovativi e con risultati rilevanti quali la scoperta di Cetamura. Nell’aprile del 2016 a lui è stata dedicata la sezione archeologica del museo di San Giovanni Valdarno, con suoi ritrovamenti e materiale documentario.
Tracchi si interessa di Cavriglia, e individua in un’antica macina nella pieve di San Giovanni l’“ara portatile” di cui scriveva il Sacchetti. Nel 1963 si svolgono alcuni scavi, e vengono trovati materiali e antiche strutture in aree dove il piano regolatore prevedeva la costruzione di case. Nel 1964 un colono del luogo, Orlando Rotesi, racconta a Tracchi che una stanza sotterranea era stata ritrovata circa cinquanta anni prima, coperta da una volta di mattoni. Ma era stato possibile calarci solo un ragazzo per la sua piccolezza. Viene individuato il luogo del ritrovamento, con tratti di muro costituito da mattoni triangolari. Tracchi così nel 1964 inizia a dare un’interpretazione ai ritrovamenti: da Cavriglia passava un ramo della Cassia, e qui era posizionata una “mansione”, punto di sosta per i viaggiatori e nucleo agricolo. L’ipotesi è che si tratti della stazione di sosta sulla via Cassia chiamata Bituriha sulla famosa tavola Peutingeriana.
Si arriva così al 15 aprile 1976. Due ragazzi giocano in un cantiere, vicino all’area dove erano stati ritrovati i resti della mansione. Vedono qualcosa di particolare affiorare tra le fondamenta. Sembra una statua o parte di essa: la tirano fuori, la caricano con fatica su un carretto, la portano a casa, la ripuliscono. Viene subito avvisata la Soprintendenza, gli esperti riconoscono l’inconfondibile profilo della tauroctonia mitraica. La statua viene presa in consegna dal Museo Archeologico Mecenate di Arezzo. Nel frattempo vengono eseguite ulteriori ricerche in Cavriglia, peraltro ancora non terminate nel 2017. Non è il solo reperto mitraico in provincia di Arezzo. Nelle presentazioni si racconta di una testa del toro ritrovata in Casentino, e anche altri reperti.
Negli ultimi anni lo sforzo compiuto dalle varie istituzioni è stato alla fine premiato con l’esposizione del reperto del Mithra, rappresentante degli innumerevoli tesori nascosti nel territorio toscano. Esempio per tutti che con l’impegno comune i nascosti beni culturali si possono ben valorizzare e tutelare.
Il mitreo di Santa Prisca a Roma
Roma, marzo 2015. Avevo programmato la visita al mitreo di santa Prisca in Roma a febbraio. Come indicato nel sito, telefono alcuni giorni prima per prenotare: le visite erano previste due sabati al mese. L’operatore gentilmente, dopo avermi precisato il costo di pochi euro della visita guidata da pagarsi anticipatamente, mi chiede il numero della carta di credito. Posso pagare via web, o tramite un normale bollettino postale? No, non si può, per confermare bisogna sulla fiducia dare il numero della carta. Bene, grazie, non prenoto, proverò ad andarci direttamente. Mi organizzo per un sabato di febbraio, ma ho notizia nello stesso giorno di una grande manifestazione a Piazza del Popolo. Nessun problema, devo andare in altra zona. La sera prima della visita guardo su internet la cronaca di Roma: sono programmate due contromanifestazioni, ovviamente in zone da dove devo passare. No, rinuncio, rischio per lo meno di avere problemi con i trasporti, in poco tempo devo andare in troppi posti. Cambio le prenotazioni del treno, fisso un sabato a marzo. Il tempo passa veloce, e finalmente è il giorno della mia rapida visita a Roma che oltre a Santa Prisca comprende varie mete.
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Aventino, 14 marzo 2015. Faccio di corsa la breve salita che porta alla chiesa di Santa Prisca, è quasi mezzogiorno. Sta uscendo un battesimo, e con discrezione entro e chiedo in sacrestia dove si trova il mitreo e dove inizia la visita, fuori non ci sono indicazioni. Con cortesia mi dicono che devo uscire, è un cancello accanto alla chiesa: così finalmente trovo il gruppo della visita. Non sono prenotato, chiedo se mi posso aggregare: ok, pago il biglietto. E per fortuna sono arrivato un minuto prima dell’inizio.
La visita è estremamente interessante. La guida è competente, preparata: non solo ha con sé alcuni testi di riferimento ma si trattiene alla fine rispondendo a tutte le domande degli interessati partecipanti. Chi è qui non ci può essere per caso, ha per lo meno la curiosità culturale di vedere il luogo, e ci sono professori e studiosi.
Il mitreo vero e proprio è un locale lungo e sotterraneo, con ai lati le sedute dei fedeli, e sulle pareti i resti di antichissimi affreschi. In fondo il bassorilievo con le divinità. Sono interessanti anche i locali accessori: il vasto ingresso, il locale delle vestizioni e il battistero mitraico.
Il culto mitraico.
Molti sapranno che i pagani festeggiavano la festa della luce –Dies Natalis Solis Invicti – il 25 dicembre. Ma un dio pagano che nasce dalla roccia proprio quel giorno? Celebravano dei riti che prevedono una cena mistica con il pane e il vino che vengono distribuiti ai fratelli? Se poi consideriamo che Mithra salì al cielo a trentatré anni e altri particolari si rimane perplessi: che relazione ha tutto ciò col cristianesimo?
Iniziamo dal mito del Sol Invictus. Nel corso del terzo secolo si instaurò nell’impero romano il culto del “monoteismo solare” che acquisì importanza intorno al 220 d.C. con l’imperatore Marco Aurelio Antonino detto Eliogabalo nativo di Emesa, la futura Homs, siriano . Era grande sacerdote della divinità solare “el-gābel”, e fece portare a Roma la pietra sacra di Emesa, un meteorite nero di forma conica fino ad allora adorato nella città siriana.
Lo storico Erodiano racconta come questa pietra, in occasione del solstizio d’estate, fosse portata in processione dall’imperatore per le vie di Roma, su un carro trainato da “sei cavalli enormi e di un bianco immacolato”. Successivamente, nel 274 dopo varie vittorie in Siria, l’imperatore Aureliano dedicò un grande tempio al sole sul colle Palatino stabilendo definitivamente il culto del Sol Invictus. Mancavano solo quaranta anni all’editto di Milano di Costantino e all’avvio della costruzione delle grandi basiliche cristiane.
La festa del Dies Natalis Solis Invicti veniva celebrata il 25 dicembre, per festeggiare l’unione della notte più lunga dell’anno col giorno più corto. A questa festa è legato il racconto mitologico di origine indo-iranica del dio Mithra, che nasce da una roccia il 25 dicembre. Dopo aver superato alcune prove Mithra cattura un grosso toro bianco, e lo rinchiude in una grotta. L’animale riesce a fuggire, e a questo punto il sole impone a Mithra di catturarlo di nuovo, per sacrificarlo tagliandogli la gola. Il sangue uscito dal toro fa scaturire la vita sulla terra: e la scena del sacrificio del toro venne rappresentata innumerevoli volte nei luoghi di culto mitraici, e non solo. Il sole, la cui rinascita è stata salvata dal sacrificio del toro, scende sulla terra per un banchetto di ringraziamento con Mithra, col quale risale in cielo. Il tutto è completato da innumerevoli simboli e personaggi, come Cautes e Cautopates che si affiancano al dio, formando insieme una triade rappresentativa dell’aurora, del mezzogiorno e del tramonto; o altrimenti, della primavera, dell’estate e dell’autunno.
La descrizione simbolica e mitica è affiancata da una complessa teologia, non del tutto nota, in considerazione sia della distruzione di tutti i documenti del mitraismo nel periodo dell’affermazione del cristianesimo sia del carattere misterico e segreto di tali comunità. Il mitraismo è profondamente collegato alla interpretazione del cielo e delle stelle, e alla nascita dei segni zodiacali; l’ordine cosmologico instaurato e il risultante accordo realizzato con l’umanità si collega la considerazione di Mithra come dio dei patti e dell’amicizia.
Il cammino mitraico prevedeva sette gradi di iniziazione, che indicavano progressivamente l’innalzamento del fedele nella conoscenza della rivelazione: Corax (corvo, Mercurio), Nymphus (crisalide, lo sposo, Venere), Miles (il soldato, Marte), Leo (il leone; Giove), Perses (il persiano, la Luna), Heliodromus (camminatore del sole, il Sole), e infine il Pater (il padre, Saturno).
Il passaggio tra i gradi era possibile solo dopo complessi riti di iniziazione. Non ci sono, come vi ho accennato, informazioni complete sulla liturgia mitraica. Le celebrazioni avvenivano in locali lunghi e stretti chiamati “mitrei”, collocati sotto il livello del suolo in modo da rappresentare la grotta originaria mitraica. All’estremità opposta rispetto all’ingresso era collocato l’altare e la raffigurazione del dio Mithra, immancabilmente nell’atto di uccidere il toro; lungo i lati più lunghi erano posizionati i banconi dove si sedevano i fedeli, e probabilmente venivano collocati i triclini per il banchetto sacro.
Il mitraismo dal primo secolo in poi raccolse numerosi fedeli, ma solo di sesso maschile. Per dare qualche riferimento in Roma sono stati individuati vari mitrei, quali quello a palazzo Barberini, a santa Prisca, san Clemente, Santo Stefano Rotondo e le terme di Caracalla. Alcuni parlano della presenza di centinaia di templi, con un numero di fedeli che poteva arrivare a qualche decina di migliaia nella sola Roma. Numerosi resti sono stati rinvenuti a Ostia (17 mitrei), e in altre località come Capua. Mitrei sono stati praticamente trovati in tutto l’impero romano: da Dura Europos alla Britannia. In Mithra, all’inizio il dio persiano della luce, si riflettevano le virtù del soldato romano, quali la fedeltà, la disciplina, la gerarchia, la lealtà: per questi motivi trovò numerosi seguaci tra le fila dell’esercito.
Quali influenze reciproche ci sono state tra mitraismo e cristianesimo? Evidenzio con semplicità alcuni aspetti.
Quando nel quarto secolo fu stabilito il giorno in cui celebrare la nascita di Cristo fu scelta la data che già indicava la rinascita del cammino del sole, il 25 dicembre.
Abbiamo il convito mitraico, in cui si mangiava il pane e il vino, i sette gradi di iniziazione che sembrano molto imparentati ai sette sacramenti: ma può essere che parte di queste simbologie siano passate dal cristianesimo al mitraismo. Molti autori dei primi secoli, come Giustino di Nablus e Tertulliano affermano che il banchetto mitraico sia una derivazione della cena cristiana. Viceversa, è possibile che le liturgie del mitraismo abbiano condizionato la nuova religione cristiana che gradatamente si allargava nell’impero. Ma, detto questo, non dobbiamo fermarci alle somiglianze liturgiche. Tra i due movimenti la differenza sostanziale sta nel fatto che il mitraismo è fondato su un mito mentre il cristianesimo sull’evento storico del Dio fatto uomo, morto sulla croce, e poi risorto.
Decio e il Mitraismo.
Se ci si reca a visitare il mitreo di Santa Prisca sull’Aventino, che per alcuni studiosi era il più importante del rito e probabile sede del patrem patrum, subito ci si rende conto della sua immediata contiguità alla Via delle terme Deciane: là infatti Decio aveva vari possedimenti, e da imperatore realizzò delle terme esclusive. È quindi assolutamente probabile una sua partecipazione ai massimi livelli del mitraismo.
A Roma, presso il Museo Nazionale Romano nella stupenda sede di Palazzo Altemps, è conservato il “sarcofago Grande Lodovisi”, imponente testimonianza della scultura romana, sul cui fronte è rappresentata una battaglia tra Romani e Barbari. Al centro svetta la figura di un giovane generale a cavallo, in evidente gesto di trionfo. Gli studiosi associano tale raffigurazione al figlio di Decio Erennio Etrusco, o a suo fratello Ostiliano; il sarcofago potrebbe essere l’ultima dimora di uno dei due, o di loro madre Erennia Etruscilla il cui ritratto si può vedere sul coperchio dello stesso sarcofago, conservato a Mainz in Germania. Se si guarda con attenzione il ritratto del giovane generale si vede come abbia una cicatrice a forma di X sulla fronte, probabile marchio della sua adesione al Mitraismo.
Mitraismo nel XXI secolo.
Quanto del mitraismo è sopravvissuto nei secoli, sotto forma di riti occulti, superstizioni ed esoterismo? Semplicemente guardando la simbologia stessa del mito, che a esempio raffigura il dio circondato da tutti i segni zodiacali certamente non poco, vista l’assurda importanza che i mezzi di comunicazione del terzo millennio danno alle previsioni zodiacali e a quanto a esse connesso. E qualcosa è senz’altro rimasto nelle tradizioni popolari. Faccio l’esempio della ‘ndocciata molisana, che mi ha suggerito la processione mitraica con i fuochi sul Monte Fiorentino: la sfilata delle ‘ndocce di Agnone è senza dubbio la manifestazione più spettacolare. Nelle festività di dicembre sfilano per le vie del paese centinaia di personaggi in antiche cappe nere da antico contadino molisano, portando immense torce, ciascuna costituita da più braccia infuocate. Gli alberi per costruire le torce si tagliano nel bosco di Montecastelbarone, e sono abeti ormai sradicati, caduti o colpiti da fulmini: la preparazione delle torce stesse è un’antichissima arte, numerosi listelli vengono prima seccati e quindi legati tra loro. La resina di cui sono impregnati attizza un fuoco vivido e forte: il risultato è un grande spettacolo. Sul sito e i link correlati viene spiegato con dettaglio e documentazione come questo rito derivi dalle celebrazioni mitraiche del fuoco. L’otto dicembre 1996 la ‘ndocciata molisana si trasferì in piazza san Pietro a Roma, e le foto disponibili su internet di migliaia di grandi torce che sfilano in via della Conciliazione e nella piazza danno idea della grandiosità della manifestazione e anche come nei secoli molti riti pagani si siano trasformati in riti e simbologie cristiane
Per saperne di più:
- Alberto Perconte Licatese, “il mitreo di Capua”, Santa Maria Capua Vetere – 2013 https://docplayer.it/4125598-Alberto-perconte-licatese-il-mitreo-di-capua.html
- Laura Larcan, “La “fossa sanguinis” del toro sacro nel Mitreo sotterraneo di Caracalla”, https://roma.repubblica.it/cronaca/2012/10/20/news/la_fossa_sanguinis_del_toro_sacro_nel_mitreo_sotterraneo_di_caracalla-44895401/, 2012
- Mauro Gioielli, “Origini e significati delle ’Ndocciate molisane, i rituali ignei della Notte di Natale – Il fuoco dei dadofori agnonesi”, http://www.ndocciata.it/
- L.A. Silcan “Mithra il Cavaliere del Sole”, Keltia Editrice, Marzo 2018
Dura Europos
Il battistero di Dura Europos, oggi conservato presso l’Università di Yale
Dura Europos, benché nota da fonti storiche, fu scoperta casualmente da un soldato inglese nel 1920, mentre scavava una trincea durante la rivolta araba. Da quel momento sono state svolte grandi campagne di scavo, da americani, francesi fino al 1937, e ripresi nel 1986 da francesi e siriani. Gli scavi hanno messo in luce una città in cui nel terzo secolo convivevano pacificamente tutte le religioni di allora: i vari culti pagani e mitraici, la sinagoga, la chiesa cristiana. Successivamente il sito è stata una miniera inesauribile di testi, armature, manufatti, dipinti che hanno permesso un ineguagliabile sguardo di quella civiltà, chiamata “la Pompei del deserto”.
I grandi affreschi della sinagoga sono conservati al Museo Nazionale di Damasco. Ma chi volesse oggi ammirare gli stupendi affreschi della chiesa cristiana non potrebbe cercarli nel deserto siriano: essi sono oggi conservati in America, nella Art Gallery dell’Università di Yale, insieme a migliaia di reperti trovati nelle campagne di scavo.
Senz’altro queste collocazioni hanno permesso la conservazione di questi beni dell’umanità, visti i tragici avvenimenti che senza fine si stanno svolgendo in questi luoghi: quando ho scritto la prima bozza di queste pagine mi ponevo il problema della legittimità di queste rimozioni e dell’allontanamento di queste opere dai loro siti, problemi totalmente superati dagli eventi successivi in quanto se fossero rimaste al loro posto sarebbero state probabilmente distrutte.
E si sta parlando di una delle prime chiese cristiane, di testimonianze di valore storico e religioso assoluto, la cui conoscenza dovrebbe essere di dominio pubblico. Per capire l’importanza dei reperti non posso che citare quanto afferma Fabrizio Bisconti, su un articolo apparso su “L’Osservatore Romano” nel 2010: “la più antica rappresentazione della risurrezione del Cristo si conserva nella Galleria d’Arte della Yale University, ridotta a un semplice pannello su cui è stato applicato un frammento di affresco, oramai assai provato dai restauri del passato, strappato dall’ambiente battesimale della domus ecclesiae di Dura Europos, l’antica città di fondazione romana, situata nei territori dell’antica Siria, sulle rive dell’Eufrate”
Se devo prendere me stesso come esempio, sono venuto a conoscenza di Dura Europos solo mentre mi documentavo per scrivere Elisboth, leggendo l’interessante lavoro di Federica Guidi sull’esercito romano, che appunto descrive vari aspetti di questa importante fortezza militare romana, la sua storia e come fu presa dai Persiani. Credo che la conoscenza di questa città, come esempio di un momento della storia in cui differenti religioni convivevano liberamente, sia in primo luogo un valore assoluto che dovrebbe stare su tutti i libri di storia dei ragazzi. E sapere come era la casa della comunità – la domus ecclesiae – non può che far parte delle conoscenze insegnate con la catechesi a chi è cristiano.
Florentia Paleocristiana – I luoghi e le storie di San Zanobi
Il centro storico di Firenze è frutto di innumerevoli evoluzioni che si sono alternate
nei secoli, che hanno plasmato l’aspetto attuale della città: così le strade e
monumenti ereditano il lungo cammino storico che le ha generate. Nel periodo tra
IV e V secolo Florentia integrò nel suo reticolo i simboli cristiani. Basiliche dedicate
ai martiri, San Lorenzo e Santa Felicita, vennero edificate a nord e a sud; e le due
chiese intitolate ai santi Pietro (san Pier Maggiore) e Paolo (san Paolino) forniscono
a est e a ovest conferma dell’evoluzione del tessuto urbano conformemente al
modello ambrosiano, dove le chiese erano edificate nei pressi delle porte esterne
perimetrando il centro abitato e seguendo una precisa logica di dedicazioni.
IL MONDO DI ELISBOTH
Questa sezione del sito è dedicata a fornire informazioni storiche e geografiche relative al romanzo “Elisboth”, e a riportare i racconti delle storie di S. Miniato e di S. Cresci come tramandate dalla tradizione
Nelle gelide mattine del solstizio d’inverno l’accecante luce dell’alba inonda Firenze dalla direzione della collina di San Miniato, un tempo Monte Fiorentino e prima ancora Elisboth.
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La città di Florentia
Non è immediato andare a trovare i resti della Florentia romana. Senz’altro l’apertura alla fine del 2014 degli scavi del teatro sotto Palazzo della Signoria ha aperto una finestra sulla “Pompei” che abbiamo sotto Firenze: seppellita non da un vulcano ma dall’oblio degli uomini, oltre che dalla storia e dallo sviluppo della città. Gli scavi propongono quindi una piccola parte del vasto parco archeologico che sarebbe la piazza, dove sono stati rinvenuti negli anni ’80 i resti della fullonica, delle terme, e di altri monumenti oltre che del teatro. Di questi scavi non è stato realizzato un affascinante percorso sotterraneo, potenziale stupendo preludio alla visita degli Uffizi o di Palazzo Vecchio.
Molti resti della Florentia Romana sono custoditi al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Al suo interno il “cortile dei fiorentini” conserva i resti del tempio di Iside e molti altri reperti.
Un libro di Emiliano Scampoli, “Archeologia di una città”, è un’ottima introduzione per avere informazioni sull’argomento e comprendere la struttura dell’antica Florentia. È una lettura fondamentale. Così viene commentato da Carlo Francini, referente per il sito UNESCO Centro Storico di Firenze: “Il lavoro di Emiliano Scampoli permette una lettura dell’evoluzione urbanistica tramite i dati archeologici ed è la base di partenza per poter distinguere e valorizzare le ‘molte città’ che compongono la Firenze attuale. La città delle terme e dei monumenti romani, quella delle chiese paleocristiane, la Firenze delle sepolture tra le povere abitazioni, quella delle grandi chiese romaniche, delle consorterie di torre e la città di Dante sono tutte rimaste, come gli anelli di un tronco, all’interno del centro attuale. Comprendere queste molteplici chiavi di lettura è fondamentale per innalzare la consapevolezza dei cittadini e dei visitatori verso una città che è patrimonio di tutta l’umanità e per gestirne coerentemente il futuro.”
Consapevolezza dei cittadini e dei visitatori. Senz’altro io ho vissuto per molti anni a Firenze nella inconsapevolezza del lontano passato, e della storia che era sotto i miei piedi. Chi immaginava che la tortuosa e stretta via Faenza, ad esempio, percorsa innumerevoli volte per andare al lavoro, ricalcava il percorso dell’antica via romana in uscita da Firenze che, tra necropoli, si dirigeva verso Pistoia? E che lungo questa strada si stagliavano le grandi arcate dell’acquedotto? E quante volte mi sono chiesto il motivo delle innumerevoli chiese sui colli fiorentini, in luoghi non sempre collegati direttamente a paesi o comunità: spiegazione che poi ho trovato scoprendo la sacralità del territorio fatta dagli antichi etruschi e romani, poi passata al cristianesimo.
Nell’antichità il territorio, il paesaggio e la natura erano sacri: ma cosa sono per noi oggi? Natura e territorio sono patrimonio prezioso e vulnerabile, in cui qualsiasi intervento si deve armonicamente inserire. Non è solo una questione di valutazione di impatto ambientale, atto tecnico peraltro importante e non derogabile ma la cui denominazione già implica un trauma per il paesaggio e la natura: è la visione armonica della realizzazione umana che deve essere perseguita. E quindi l’ingegneria e l’architettura non potranno progredire se non ripartono dal punto in cui erano arrivati nell’antichità, in cui la creazione dell’architetto era concepita in simbiosi con l’ambiente e l’universo. Questo ci dice a chiare lettere la lettura del paesaggio fiorentino, e vedere come tutto questo nella seconda metà del ventesimo secolo sia stato sistematicamente dimenticato pone sulla nostra epoca un’inesorabile condanna della storia: unica possibilità di riscatto è accorgersi dell’errore, e identificare una via di uscita nel progettare il futuro con la sapienza antica nel cuore, di cui non possiamo fare a meno.
Siriani a Florentia
Vari personaggi immaginari che si incontrano nel romanzo “Elisboth”, come Lucio, Axius, Clara, Alypia, Manius, Balbus e Scapula, rappresentano i commercianti siriani attivi a Florentia; dopo le vicende della guerra contro i Sasanidi il potere assunto dai siriani nell’impero era notevole, e dette senz’altro forte impulso alle loro attività commerciali. Già dal XVI secolo furono trovate nelle aree prospicenti la chiesa di Santa Felicita in Oltrarno resti ed epigrafi in greco di sepolture siriane, testimonianze del cimitero della comunità orientale che viveva a Florentia. Le lapidi sono del IV e V secolo.
Gli storici hanno ipotizzato la provenienza dalla Siria di queste persone, e che fossero prevalentemente commercianti in contatto con la madrepatria. Molti di essi erano provenienti da Apamea, città a sud di Antiochia. Altra città che aveva vivi rapporti con la città della Tuscia era Cesarea. Importantissimo porto fenicio, e nel 13 a.C. diventò la capitale della Giudea, dove risiedeva il governatore romano. Pietro apostolo vi battezzò il centurione Cornelio; Paolo di Tarso vi soggiornò e vi fu imprigionato; divenne la sede di una grande scuola di teologia e biblioteca fondata nel terzo secolo da Origene, grande padre apostolico. È evidente come queste relazioni dettero grande impulso alla comunità cristiana di Florentia che si stava formando.
In “Elisboth” si presenta l’ipotesi che già nel terzo secolo ci siano state presenze siriane a Florentia, fatto peraltro coerente con il culmine dell’importanza del paese mediorientale nell’impero. E il cristianesimo con tutta probabilità fu, se non portato, senz’altro consolidato a Florentia da questa comunità in stretti rapporti con le scuole teologiche dell’Asia minore
Nel III secolo sono testimoniate nell’antica Florentia importazioni africane (vasellame da mensa, olio e garum, una salsa fatta col pesce); i prodotti a base di pesce e olio provenienti dal nord Africa diventano predominanti nel mercato cittadino, così come in quello di Roma.
lapidi paleocristiane a santa Felicita, l’uso del greco è legato alla comunità siriana
Anfiteatro e gladiatori
Gladiatori a Florentia. Ci sono testimonianze specifiche dell’anfiteatro di Florentia. Domenico Maria Manni, nel suo scritto del 1746 “Notizie istoriche intorno al parlagio ovvero anfiteatro di Firenze” descrive un’interessante testimonianza archeologica di un gladiatore fiorentino:
“…Per maggior prova però rammentar mi giova il marmo, che nelle case della Famiglia Archinta in Milano si trova, dal chiarissimo Pietro Graziolo riportato, e illustrato, ove sotto la figura di un Gladiatore delle sue Armi fornito, cui siede in appresso per simbolo d’animosità una Cervetta, si legge
T. BICO SECUTORI
PRIMO. PILO. NATIONE FLO
ENTIN. QUI. PVGNAVIT. XIII
VIXSIT. ANN. XXII. OLIMPIAS
IIII. QVEM. RELIQUIT. MESIV
ET FORTVNIENSIS. FILIAE …”
Quindi a Florentia c’erano i gladiatori, che ovviamente poi si sarebbero sfidati in interminabili e cruente sfide nell’arena. T. Bico era un secutore, il gladiatore che normalmente sfidava il famoso reziario, in sfide simili a quella che abbiamo raccontato. Lorenzo Cantini, nel suo libro sulle Iscrizioni, formula l’ipotesi che a Florentia ci fosse una vera e propria scuola gladiatoria: “che un Gladiatore Fiorentino combatté fuori della. sua Patria, mi fa congetturar che in Firenze vi fosse un Ludo Gladiatorio, che cosi chiamava quel luogo ove si ammaestravano i Gladiatori …”
Nella foto alcune viste di Piazza dei Peruzzi, dove le costruzioni seguono le forme dell’antico anfiteatro, inglobando anche alcuni suoi antichi archi.
Il tempio di Iside di Florentia si trovava nei pressi dell’attuale piazza San Firenze, a lato con il Borgo dei Greci. Tra l’ottobre e il dicembre 2008 sono stati ritrovati alcuni resti, il tempio era ubicato nei pressi del fosso Scheraggio: come a Pompei o a Lecce, l’Iseo si trovava vicino al teatro. Il tempio potrebbe essere stato realizzato all’inizio del II secolo d.C. ed essere sopravvissuto almeno sino al III secolo e quindi far parte dello scenario visto dai personaggi di “Elisboth”. Le sue dimensioni erano notevoli, 25 metri di larghezza e 50 m di lunghezza.
Uno splendido busto della dea Iside è stato rinvenuto a Firenze, nell’ottobre del 1785, durante uno scavo di fondazione nell’attuale via S. Gallo; questa zona è molto lontana dall’area dove sorgeva l’Iseo fiorentino. Si possono fare solo delle ipotesi sulle circostanze che hanno portato questa immagine di Iside dall’Egitto fino a Firenze, non ultima la presenza, nella zona, della villa romana di un seguace del culto isiaco.
Un’immagine di Iside generata da Artguru
La fullonica nell’attuale Piazza della Signoria faceva parte di un complesso costituito anche dalle latrine e da un grande edificio termale. Poteva quindi utilizzare, con una efficienza ammirabile, sia le acque reflue delle terme sia lo scarico delle latrine alimentato dai moltissimi frequentatori delle terme stesse e del teatro. L’orina era uno degli ingredienti indispensabili per lavorare i tessuti.
Questo era la disposizione nel II-III secolo di Piazza della Signoria; gli edifici più importanti erano le terme, struttura imponente che occupava gran parte della piazza, e il teatro che era posizionato dove ora è Palazzo Vecchio. La fullonica, una delle più grandi ritrovate in assoluto (solo a Ostia risulta sia stata trovato un impianto di dimensioni comparabili), occupava una striscia di mille duecentocinquanta metri quadri (50 x 25 metri) davanti all’attuale loggia dei Lanzi. Tra la fullonica e le terme era stato posto l’edificio delle latrine. Florentia era senza dubbio un centro di grande importanza di trasformazione e lavorazione delle stoffe, si stanno creando le condizioni per la futura capitale dell’“Arte della Lana”: già da allora, era un centro non indifferente di trasformazione, lavorazione e smistamento delle stoffe.
commercio
Il ritrovamento, alcuni anni fa, delle antiche navi romane nella zona di San Rossore a Pisa mise in evidenza la fitta trama commerciale che un tempo collegava città, campagne, centri industriali. Le relazioni si estendevano dai porti toscani ramificandosi in tutto il Mediterraneo: ad esempio le lapidi in greco in Santa Felicita e il culto di Santa Reparata a Firenze, martire di Cesarea del III secolo, testimoniano come la colonia di Florentia fosse un centro strettamente collegato con la Siria. I materiali scambiati erano innumerevoli. Dalla Tuscia partivano, a esempio, le anfore Empolitane, le terre sigillate di Arezzo, i marmi lunensi, tutti i prodotti della campagna, i minerali dell’isola d’Elba e delle Colline Metallifere. Dal Medio Oriente arrivavano i marmi preziosi che si riescono a esempio a scorgere nella chiesa fiorentina di San Miniato, e innumerevoli prodotti di ogni tipo entravano in competizione con i prodotti locali: la globalizzazione non è certo un’invenzione moderna, e probabilmente sulle mense di Florentia arrivavano aromi orientali, olio egiziano, frutta spagnola e pesce fresco dalla costa. Non dimentichiamo che l’Arno era un’importante via fluviale. Chi si recava a Roma senz’altro nella buona stagione poteva privilegiare la via fluviale e marittima, più rapida delle vie interne. A Florentia c’era il porto terminale destinazione di molte merci scaricate nel Sinus Pisanus, il vasto golfo che un tempo esisteva tra Livorno e Pisa dove era presente un importante sistema portuale capace di accogliere le navi onerarie: una superficie paragonabile al Mar Piccolo di Taranto, per dare un’idea. Il relitto trovato a Madrague de Giens, Francia (I sec. a.C.) è esempio della grandezza delle imbarcazioni che entravano in questi porti: misurava in origine 40 m di lunghezza, con portata di 400 t, capace di portare 7000-10000 anfore.
Una testimonianza archeologica delle antiche attività commerciali di Florentia la possiamo vedere sul lato sud del battistero di San Giovanni a Firenze, dove è stato inserito dai costruttori dell’edificio un interessante bassorilievo di epoca romana, proveniente da un sarcofago. Le figure rappresentano la produzione e il commercio del vino con le navi, probabile attività della persona che fu sepolta nel sarcofago. Un’ipotesi del motivo del suo inserimento nell’edificio del battistero è comunque una sua relazione iconografica sia al vino che rappresenta il sangue di Cristo, sia alla nave che rappresenta la vita, con il suo albero simbolo della croce.
San Cresci in Valcava
articolo pubblicato su “L’Italia, l’Uomo, l’Ambiente” marzo 2022
In una nascosta valle del Mugello un’antica Pieve custodisce un tesoro di arte e di storia. L’antichissima tradizione di San Cresci e dei martiri del Mugello, risalente al III secolo, è mantenuta viva dal recente ciclo di affreschi del Maestro David Mayernik.
La chiesa di San Cresci in Valcava è uno dei luoghi più straordinari dei dintorni fiorentini. È un contatto diretto con la chiesa dei primi secoli, con le sue testimonianze più drammatiche. Il culto iniziò subito dopo la morte dei martiri; si ignora l’esatta epoca di costruzione della chiesa, fermo restando che il luogo probabilmente era anche sede di un tempio pagano, dove appunto Cresci e compagni furono portati per sacrificare agli idoli; probabilmente l’edificio attuale risale all’XI secolo, periodo al quale risalgono gli atti dello scritto latino. Tra il 1200 ed il 1500 la chiesa fu un santuario importante, meta di pellegrinaggi; nel 1516 visitava la chiesa l’arcivescovo Giulio de’ Medici, futuro pontefice Clemente VII. Nel 1613 furono ritrovati i resti dei martiri, evento a cui presenziò l’arcivescovo Alessandro Marzi-Medici. Quanto fu trovato corrispondeva al racconto della tradizione…
Florentia Paleocristiana: santa Felicita, Santa Trinita, il tempio della Cella di Ciardo
…ci sono a Firenze testimonianze archeologiche di un’antica comunità cristiana, precedenti al IV secolo? Già dal terzo secolo il cristianesimo era ben diffuso nell’impero, in cui non solo erano ormai disponibili versioni dei vangeli assolutamente consolidate, ma anche un colto e laico dibattito tra cristiani e pagani sulle tematiche della fede cristiana. Una possibile testimonianza della comunità cristiana del terzo secolo in Florentia è il sarcofago della cappella Davanzati in Santa Trinita. Fu riutilizzato nel 1446 per la sepoltura di Giuliano Davanzati. Sulla superficie anteriore è presente un bassorilievo che rappresenta il Buon Pastore, tema che a esempio troviamo nelle pitture del battistero di una delle prime chiese conosciute, la domus ecclesiae di Doura Europos in Siria…
Lapidi Paleocristiane a Santa Felicita
Florentia Paleocristiana: la cattedrale di Santa Reparata, le origini
Difficile deve essere stata la scelta dei fiorentini al tempo di Dante, quando intorno al 1300 decisero di iniziare a demolire la loro cattedrale per costruire un edificio molto più imponente e spazioso; la basilica di Santa Reparata con le sue geometrie romaniche, che per secoli aveva dialogato con il Battistero di San Giovanni, doveva lasciare il passo a un edificio degno di quella che allora stava per diventare la città più grande e potente di Europa. La decisione fu così impegnativa…