DALLA “VITA DI SAN MINIATO MARTIRE E DE’ SUOI COMPAGNI”
IN “VITE DE’ SANTI E BEATI FIORENTINI”
SCRITTE DAL DOTTOR GIUSEPPE MARIA BROCCHI SACERDOTE e ACCADEMICO FIORENTINO
DEDICATE ALL’EMINENTISS. E REVERENDISS. PRINCIPE
IL SIGNOR CARDINALE NERI MARIA CORSINI
FIRENZE MDCCXLII
Il brano che stiamo per leggere racconta la morte eroica di San Miniato, ed è tratto dal libro di Giuseppe Maria Brocchi, sulle “Vite de’ santi e beati fiorentini”, del 1742. La fonte da cui Brocchi ricava le informazioni per la storia di San Miniato è il Martirologio Fiorentino, di cui usò una copia presente nella Libreria Strozzina. Il testo originale è stato consultato presso la storica Biblioteca Moreniana di Firenze
Fu adunque S. Miniato un Giovane nobile, e soldato valorosissimo fiorentino, seguace della cristiana religione, il quale (..) al tempo della persecuzione di Decio, nell’andarsene al Monte Fiorentino, dove stavano ritirati i cristiani per timore de’ gentili in una selva, detta Elisbot (nome forse restato dell’antica già perduta lingua Etrusca) fu preso dà Ministri dell’Imperatore, vicino alla porta della città, e condotto con violenza a sacrificare agli idoli, il che ricusando egli di fare, fu subito condannato ad esser divorato da un leopardo: orando però il santo, immanentemente cadde morta a’ suoi piedi quella bestia.
Infieriti per tal cagione più che mai gli idolatri, lo gettarono unto d’olio in un’ardente fornace, dalla quale parimenti per virtù divina ne uscì totalmente illeso. Attribuendi allora ciò dà ministri di Cesare ad arte magica, fu condotto nuovamente nell’anfiteatro, acciò quivi da un ferocissimo leone fusse sbranato, e ucciso, ma facendosi dal santo il segno della croce, cadde subito a terra estinta, con meraviglia di tutti la fiera.
Sdegnati perciò maggiormente i persecutori del nome cristiano, lo posero sull’eculeo, e quivi con tormenti atrocissimi lo straziarono, mettendogli barbaramente nelle dita fra l’ugna e la carne acutissimi stecchi, e colandogli negli orecchi, forati prima da ferro infuocato, piombo strutto: le quali cose sopportando pazientemente l’invitto giovane, fu da un angelo, e dal medesimo nostro Signor Gesù Cristo, che in sembianza lucidissima gli apparve consolato: la qual cosa osservando uno di quei ministri, che lo custodivano, si convertì alla vera fede.
Vedendo pertanto il tiranno, che niente operava co’ tormenti, si rivoltò a persuader il santo colle lusinghe, e avendolo fatto condurre al tempio di Marte, gli fece offerire gran quantità d’oro, e di gemme, se sacrificava a quell’idolo; la qual cosa ricusando egli costantemente di fare, fu finalmente condannato al taglio della testa, eseguendo il carnefice la cruda sentenza il di’ XXV d’ottobre.
Questo è quanto si ricava dagli Atti più antichi, riferiti dal Vescovo Pietro de’ Natali nel suo catalogo al Lib. 9 cap. 18, e dall’Orlendi nell’opera sopraccitata, intorno al martirio di San Miniato, concordando con essi ancora altri atti antichi, che si conservano nell’archivio di Vallombrosa, variando soltanto circa il luogo del martirio, poiché si legge ne’ primi, che patisse il santo al monte, poco fuori di Firenze nel luogo appunto, ove si trova in oggi la famosa chiesa dedicata in suo onore; e ne’ secondi che fosse martirizzato di qua’ dell’Arno, in un luogo detto il Gorgo, situato presentemente fuori della Porta alla Croce, poco distante dal patibolo de’ giustiziati, dove essendo stati ancora martirizzati, dopo S. Miniato, molt’altri cristiani, vi fu eretta fino dà primi secoli dalla pietà de’ fedeli una chiesa in memoria di essi, intitolandolo a S. Candida, la qual chiesa, insieme con molt’altre del contorno di Firenze, fu poi distrutta al tempo delle guerre, con esserne traslato il titolo di essa nella chiesa delle monache di S. Fridiano, e riservatone l’jus onorifico al priore di quella collegiata, rimanendoci in oggi quel luogo si venerabile, consacrato dal sangue di tanti martiri, appena poche vestigia, le quali per altro meriterebbero d’essere come reliquie custodite, e con ispeciali iscrizioni decorate.
Si ha inoltre dagli atti di Vallombrosa, e lo riferisce per tradizione antichissima il Villani; siccome ancora viene espresso in pittura nella sopraccennata antica tavola, esistente nella chiesa sotterranea (ove in otto partimenti maravigliosamente si vede rappresentata tutta la serie del di lui martirio) che S. Miniato, dopo essergli troncata la testa, la prendesse miracolosamente colle sue mani riunendola al proprio busto, e passando poscia il fiume Arno, guidato da un Angiolo, si conducesse vivo, con gran maraviglia del popolo, al sopraddetto monte, e lì rendesse lo spirito al suo signore in presenza di molti cristiani, che si trovavano a far orazione in una cappelletta dedicata in onore di S. Pietro, nella quale poi il sacro corpo, insieme colle reliquie di molti altri santi martiri, e confessori, che morirono ne’ primi secoli della chiesa, fu collocato; per la qual cosa vengono facilmente a conciliarsi le due diverse opinioni, che ci sono circa il luogo del suo martirio; poiché dicendo alcuni, che egli fosse martirizzato al Gorgo, si può intendere del luogo, in cui gli fu tagliata la testa; e dicendo altri, che il suo martirio seguisse al monte, si può intendere del luogo, in cui dopo essere stato decapitato, passando miracolosamente il fiume Arno, andò a morire.
La predetta cappella, in cui fu collocato il suo santo corpo, si crede, che fosse situata nel luogo appunto dove è in oggi la porta laterale (detta comunemente la porta santa) della magnifica chiesa eretta in onore di S. Miniato, per mezzo d’Alibrando Vescovo di Firenze, al tempo, e coll’aiuto di S. Enrico Imperatore, e di S. Cunegunda sua consorte, poco dopo al MXIII.
È ben il vero, che essendo poi stati i primi atti sopraddetti del martirio di S. Miniato molto alterati da un tale Abate Drogone, che al tempo del medesimo S. Enrico abitava nel monastero anticamente fabbricato allatto all’accennata chiesa, il quale, sotto pretesto d’ordinargli, molto gli guastò, mescolandovi diverse favole e inezie; ne seguì, che alcuni scrittori, e in specie il Tillemont, pressero giustamente motivo di criticargli. Questo però non apporta pregiudizio alcuno agli atti sinceri del nostro santo sopra riportati, i quali non meritano certamente d’essere censurati, mentre in essi non vi è cosa veruna, che non sia verisimile, e tutta conforme alla condotta maravigliosa, che ha sempre tenuto Iddio co’ suoi santi nel tempo specialmente delle più fiere persecuzioni contro i cristiani. Perciò dalla santa chiesa viene meritatamente approvata nel martirologio romano la sua passione, leggendovisi essere accaduta in Firenze il dì XXV d’ottobre sotto l’Imperio di Decio.
Viene in oltre riferito dal sopraddetto Orlendi, che in un antico passionario esistente già nella famosa libreria di S. Lorenzo, vi si leggessero i nomi di sette compagni di S. Miniato, insieme con esso, o poco dopo martirizzati, e fra questi un Turbolo, un Valente, e (conforme mi ha detto un savio, e dotto religioso domenicano, che lo lesse) ancora un Crescenzio; ma essendosi perduto un tal libro, forse nel tempo, che erano in Firenze varie contese tra i letterati sopra l’identità delle reliquie di S. Cresci; perciò non ci è restato altra notizia, se non che col santo patissero sette altri cristiani il martirio, conforme se legge ancora in un antico breviario, scritto avanti al mille, del quale si serviva il glorioso padre S. Giovanni Gualberto e che presentemente si conserva tra le reliquie di Vallombrosa, in cui si fa menzione di S. Miniato, e compagni, quantunque però di alcuno di questi non vi si esprima il nome (…).